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Il “percorso” che porta la pianta a diventare un combustibile è detto filiera. Nel caso specifico delle biomassa legnosa a fine energetico si fa riferimento al termine filiera legno-energia. Tale percorso vede la presenza di determinati “attori”, ossia tutte le realtà produttive e commerciali che ricoprono un ruolo dalla sua origine (approvvigionamento della materia prima) sino alla sua fine (utilizzatore del combustibile nei generatori): i principali sono i produttori (aziende agroforestali/selvicolturali, aziende che si occupano dei processi di trasformazione). 

Vengono poi i venditori e/o distributori all’ingrosso, i quali sono a rifornire i grossi impianti di produzione energetica (impianti di teleriscaldamento, impianti di cogenerazione, etc.) nonché i rivenditori al dettaglio; un ruolo “collaterale” all’interno della filiera lo hanno senz’altro i fabbricanti di generatori, specialmente in un circoscritto ambito territoriale nel quale la produzione prevalente di biocombustibile può condizionare la produzione di determinate tipologie di generatore; si arriva infine all’utenza finale, la quale, laddove non si fermi agli impianti succitati, si traduce nel privato che acquista il prodotto-biocombustibile per realtà più piccole ossia su “scala domestica”.

Il principale vantaggio che una filiera legno-energia porta è senz’altro rappresentato dalla sostituzione di un combustibile fossile con una fonte di energia naturale e rinnovabile. Tuttavia, i vantaggi non si fermano qui: infatti la creazione di una filiera comporta la creazione di valore aggiunto mediante lo sfruttamento responsabile e sostenibile del bosco, una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento energetico dovuto allo svincolarsi dall’importazione di energia fossile mediante la produzione a livello locale (nazionale, regionale), la crescita occupazionale nazionale, la riduzione delle emissioni climalteranti dovuta non solo alla sostituzione del combustibile nei generatori, ma anche alla considerevole riduzione delle distanze di trasporto delle materie prime (tragitto tra i Paesi esteri di origine fino ai siti di trattamento e trasformazione, non contando i casi nei quali la fonte fossile valichi i confini nazionali già sotto forma di energia primaria direttamente utilizzabile); quanto detto diviene ancora più rilevante se calato in realtà rurali, ad esempio quelle collinari e montane, le quali trarranno un notevole incremento socioeconomico della comunità dalla realizzazione di una cosiddetta filiera corta che rimanga interamente entro i limiti non più nazionali bensì regionali (dalle attività di cura del bosco, al trasporto del legname, alla sua trasformazione in legna e cippato per arrivare sino alla stufa e la caldaia): questo scenario rappresenta la massimizzazione della differenza tra i biocombustibili legnosi ed i combustibili fossili.

 

Quali sono le principali fonti di biomassa legnosa?

  • Foreste, piantagioni, altri tipi di legno vergine

    • Foreste: sono la fonte più importante di combustibili legnosi nel Sud-Est Europa: circa la metà di questo territorio, infatti, è coperto da foreste. Il patrimonio forestale italiano, secondo i dati del primo Rapporto Annuale sulle Foreste (RAF) redatto dal Mipaaf, si estende per 11 milioni di ettari (circa un terzo del territorio italiano), valore che è raddoppiato negli ultimi 50 anni.
    • Piantagioni sono solitamente definite come piantagioni energetiche a rotazione breve (Short Rotation Forestry). Queste sono generalmente realizzate in terreni agricoli e la produzione di biomassa avviene mediante la ceduazione dei nuovi ricacci di polloni che si formano sulle ceppaie, la raccolta avviene nel corso di 1- 5 anni. Sono solitamente usate specie a rapido accrescimento, come pioppo, salice, robinia ed eucalipto. Il più comune (modello europeo) è il bosco ceduo a rotazione breve, raccolto nel corso di 2-3 anni, con una densità di circa 5.000 e 16.000 piante per ettaro e una progettazione di impianto di 0,5 x 3 m. Il ciclo di rotazione può variare da 1 a 3 anni. Interessante è anche il ceduo con una densità d'impianto inferiore (da 1.000 a 5.000 piante per ettaro e una progettazione di impianto di 2 x 3 m) e una rotazione di cicli fino a 5-8 anni (modello americano). In questo caso sono ottenibili legna da ardere e cippato.
    • Altri tipi di legno vergine: In questa categoria è incluso il legno scartato da giardini, parchi, da manutenzione stradale, vigneti, frutteti e il legno trasportato dalla corrente fluviale.
  • Sottoprodotti e residui della lavorazione del legno Questo combustibile legnoso può derivare da residui della lavorazione del legno (principalmente da segherie) legno con o senza corteccia, o addirittura la sola corteccia stessa. Può inoltre derivare da fibre e componenti legnosi, privi di metalli pesanti o di composti organici alogenati, conseguenti a trattamenti o rivestimenti.
  • Legno “usato” Questo gruppo include il legno post-consumo/di scarto, sia naturale, sia lavorato meccanicamente. É di fondamentale importanza che questo tipo di legno non contenga metalli pesanti come il legno vergine, o composti organici alogenati, conseguenti a trattamenti o rivestimenti.

Sintetizzando, la biomassa combustibile a base legnosa può essere ottenuta da un’ampia varietà di fonti, dette primarie e secondarie. Le fonti primarie sono quelle collegate direttamente all’attività biologica, le fonti secondarie sono invece quelle “residuali”, condizionate essenzialmente dall’attività umana; queste ultime producono spesso grosse quantità di biomassa legnosa che può essere disponibile a condizioni particolarmente favorevoli, il loro contributo è particolarmente elevato dove si concentrano l’industria, le prime lavorazioni e le produzioni agroindustriali.

FONTI

TIPOLOGIA

COMBUSTIBILE

PRIMARIE

LEGNOSE NATURALI

 

UTILIZZAZIONI BOSCHIVE COMMERCIALI

 

ALLESTIMENTI COMMERCIALI, CIPPATO, DENSIFICATI

TAGLIO DEL BOSCO CEDUO

 

SFOLLI E DIRADAMENTI

 

CIPPATO, DENSIFICATI

 

RIPULITURA DI FOSSI E SCARPATE NATURALI

 

LEGNOSE COLTIVATE

 

ARBORICOLTURA DA LEGNO

 

ALLESTIMENTI COMMERCIALI, CIPPATO, DENSIFICATI

 

ARBORICOLTURA LINEARE ED ASSIEPAMENTI

 

 

SHORT FORESTRY ROTATION

 

CIPPATO, DENSIFICATI

SECONDARIE

LEGNOSE RESIDUALI

 

IMBALLAGGI LEGNOSI

 

CIPPATO, DENSIFICATI

 

POTATURA DEL VERDE URBANO

 

 

RESIDUI DELLA LAVORAZIONE DEL LEGNO

 

 

POTATURE E ESPIANTI DI FRUTTETI

 

 

RESIDUI DI LAVORAZIONI AGROINDUSTRIALI

 

UTILIZZI TAL QUALE, CIPPATO, DENSIFICATI

 

A completamento della tabella riportata e di quanto elencato, si può affermare che, tra le risorse primarie, le foreste di tipo “tradizionale” costituiscono il maggiore serbatoio di biomassa, almeno in termini quantitativi; il loro potenziale è enorme, ma l’utilizzo è spesso ostacolato da condizioni di marginalità che caratterizzano molti boschi, pertanto le colture legnose non forestali e le colture arboree fuori foresta, specie in alcune aree del Paese, sono una soluzione più usata in quanto in grado di fornire biomassa combustibile a costi minori, grazie anche al fatto di offrire condizioni favorevoli all’impiego di tecnologie più efficienti.

Dal momento, infatti, che la distanza di esbosco è generalmente limitata, è quindi possibile accedere in campo direttamente con i mezzi di trasporto riducendo la movimentazione del legname. I cosiddetti “interventi fuori foresta”, inoltre, offrono, al pari della selvicoltura, vantaggi di natura non economica: se la manutenzione dei boschi offre importanti benefici in termini di prevenzione degli incendi forestali, difesa dall’erosione e immobilizzazione dell’anidride carbonica, il recupero di biomassa residuale da colture non forestali risolve gravi problemi di smaltimento, con effetti altrettanto rilevanti sulla godibilità dei luoghi e sulla produzione di CO2.

Tra le fonti legnose residuali è importante operare una scelta che coniughi un punto di vista tecnico (che pone le biomasse da destinare ad uso energetico quale proposta accettabile nell’ambito delle biomasse possibili) con la difficoltà che comunemente riscontra nell’operatività chi si accinge ad utilizzare tali risorse. Non è raro che le biomasse residuali, in alcuni casi, orbitino nel campo dei rifiuti, tuttavia, se razionalmente e correttamente gestite, esse hanno tutte le caratteristiche di non pericolosità e di compatibilità con un recupero energetico. I residui delle lavorazioni agroindustriali, ad esempio, nella maggior parte dei casi seguono il circuito dei rifiuti urbani e/o speciali: i destini prevalenti sono il recupero di materia nel processo di compostaggio o il recupero e riutilizzo come materie prime secondarie (ad esempio vinacce e vinaccioli, i gusci derivanti dalla lavorazione della frutta secca, le sanse che in alcune realtà sono in grado di alimentare produzioni energetiche di tutto rispetto).

 

Interventi necessari per rendere funzionale la biomassa legnosa

 

La biomassa legnosa necessita di uno o più interventi per acquisire una maggiore funzionalità all’utilizzo e alla trasformazione energetica affinché tanto la biomassa naturale, quella coltivata nei bacini di raccolta quanto la biomassa residuale, possano diventare un combustibile.

Da un punto di vista operativo, la raccolta (o prelievo) si articola in alcune sottofasi:

  1. Abbattimento: attività di taglio in bosco o piantagione.
  2. Concentramento: raccolta della materia prima in aree atte al deposito del legno “grezzo”, e talvolta alle prime fasi di lavorazione in modo che sia facilitato ed economicamente vantaggioso il trasporto massivo.
  3. Movimentazione: il trasporto della materia prima dal punto di concentramento verso le realtà produttive che la trasformeranno in biocombustibile mediante specifici processi di trasformazione.
  4. Trasformazione: lavorazione della materia prima, specifica per ogni tipologia di biocombustibile:

    1. Depezzatura: taglio del materiale lungo in sezioni accorciate;
    2. Sminuzzatura: riduzione in frammenti regolari;
    3. Frantumazione: riduzione in frammenti irregolari;
    4. Compattazione/imballatura: compressione del materiale sciolto in pacchi più regolari e compatti.

Le frazioni più grossolane sono utilizzate come combustibile diretto (legna da ardere, cippato) mentre per le frazioni più fini (polvere di legno, segature, etc.) si aggiungono processi di compattazione che portano a forme e dimensioni ulteriori di combustibili densificati, come pellet e bricchetti.

Va specificato che non sempre queste operazioni sono tutte necessarie, così come variabile può essere la loro sequenza, soprattutto per quanto riguarda l’eventuale trasformazione, che può avvenire prima (ad esempio la sramatura dopo l’abbattimento), dopo o durante (ad esempio in alcune tipologie di produzione di cippato) la movimentazione. Gioca un ruolo fondamentale, quindi, l’opportuna organizzazione delle diverse operazioni in sistemi di lavoro, in modo tale da evitare ogni rallentamento della catena di lavorazione al fine di non incidere negativamente sui costi del combustibile finale (cosa che potrebbe, in un’ipotesi estrema, arrivare a rendere antieconomico il prelievo). Come detto in precedenza, la biomassa legnosa può presentarsi in una grande varietà di forme (potature, ramaglie, fusti sottomisura, grossi fusti non commerciali), pertanto è evidente che un’operazione come l’abbattimento, ad esempio, sarà necessaria nel caso dei fusti in piedi e risulterà invece superflua in quello delle ramaglie; analogamente, l’eventuale processo di trasformazione dovrà essere adeguato al tipo di residuo: la sminuzzatura è più adatta alle piante intere, la frantumazione alle ramaglie grosse e l’imballatura a quelle sottili.

 

I requisiti della filiera legno-energia

Le auspicabili caratteristiche della filiera legno-energia è che questa soddisfi determinati requisiti:

  • Rinnovabilità: il legno è da considerarsi rinnovabile quando i suoi ritmi di sfruttamento siano paragonabili a quelli della sua rigenerazione, a differenza dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) per i quali il loro utilizzo significa sfruttare in tempi brevissimi fonti energetiche che si rinnovano in milioni di anni.
  • Neutralità: quando i ritmi di prelievo sono paragonabili alla rigenerazione, l’utilizzo del legno non contribuisce all’incremento in atmosfera di CO2 – il bilancio della CO2 liberata con la combustione si può considerare pari a quella sottratta all’atmosfera durante la fase di crescita della pianta; diversamente, l’utilizzo di combustibili fossili produce una immissione netta di CO2 in atmosfera. A parità di energia prodotta, il bilancio della CO2 immessa in atmosfera utilizzando il gasolio è circa 15 volte maggiore (8,5 volte maggiore per il metano) rispetto a quella emessa dalla combustione del legno.
  • Non impattante: la produzione della fonte energetica legno è l’unico processo che, mentre si sviluppa in modo appropriato, genera un miglioramento dell’ambiente e degli aspetti paesaggistici con ricadute positive sulla gestione del territorio.
  • Pulizia: allo stato attuale la combustione del legno con le moderne tecnologie produce emissioni nettamente inferiori a quelle delle tecnologie più tradizionali (anche se vi sono ulteriori e necessari margini di miglioramento).
  • Sicurezza: attuando una corretta pratica di prelievo, l’uso del legno non produce danni ambientali diretti, anzi si possono realizzare dei benefici, quali ad esempio la manutenzione del bosco; inoltre, l’incremento dell’utilizzo del combustibile legnoso riduce i rischi ambientali legati allo sfruttamento dei combustibili convenzionali (sversamento di idrocarburi liquidi nelle acque e nel suolo, maree nere, esplosioni di gas).
  • Decentramento e distribuzione: l’uso del legno nelle filiere legno-energia consente un maggior controllo sociale; possono avere una ampia diffusione territoriale; si possono sviluppare in prossimità rispetto ai consumatori; possibilità di utilizzo di fonti legnose sono riscontrabili pressoché ovunque.
  • Economicità: il legno è tra le fonti di energia più convenienti; il costo dell’energia primaria ricavabile dal legno è attualmente inferiore a quello di tutte le altre fonti energetiche.

 

La realizzazione di una filiera legno-energia è senz’altro un intervento impegnativo che trova propri stimoli in ragioni di tipo sociale e territoriale, tecnico-organizzativo, economico-fiscale, le quali devono trovare necessariamente un riscontro vantaggioso in base ad accordi, organizzazioni logistiche e/o riorganizzazioni partecipate da tutti i soggetti economici e istituzionali coinvolti. Lo sviluppo e l’evoluzione delle filiere è indissolubilmente legato a professionalità, tecnologie e strutture specifiche e dedicate.

Il primo livello di nuova professionalità da mettere in campo è la capacità di divulgazione e comunicazione del significato di produzione energetica da fonti rinnovabili; la mancanza di conoscenza della reale portata di questo tipo di intervento è spesso un notevole ostacolo che si interpone per lo sviluppo di nuovi progetti: la conoscenza è necessaria e va realizzata su più livelli, infatti essa non riguarda soltanto la cittadinanza locale, bensì, in modo più mirato e specifico, tutti gli eventuali attori della filiera, dal produttore della biomassa sino alle istituzioni coinvolte.

Vi sono poi gli aspetti agroforestali legati alla produzione di biomassa: nelle analisi di carattere generale e relative alle possibili specie da destinare alle colture energetiche, emerge quanto tali aspetti non siano di per sé la discriminante per la vitalità di una filiera ma che lo siano invece le professionalità agricola e forestale dei soggetti i quali, mediante la capacità di messa a punto di itinerari tecnici calati nelle specifiche realtà territoriali, potranno garantire il successo e lo sviluppo della filiera; le competenze devono essere ampie e complesse, infatti non è possibile condurre una filiera che possa resistere in termini di sostenibilità e durevolezza soltanto con la “logica manageriale” volta a massimizzare la produzione e/o la quantità, infatti si deve soprattutto dare peso ed importanza agli aspetti ecologico-ambientali nonché energetici. Da qui si evince quanto siano necessarie la pluralità e la compartecipazione di professionalità, ciascuna con la propria sensibilità e competenza.

La movimentazione e il trasporto possono avere una incidenza economica tutt’altro che trascurabile sul prezzo della biomassa: la cantieristica per poter sviluppare capacità di lavoro considerevoli a costi contenuti necessita di tecnologie specialistiche e spesso onerose; inoltre, la qualità della stessa biomassa può essere fortemente compromessa sin dalle prime fasi di raccolta, nonché durante le fasi di movimentazione e di stoccaggio, se effettuate con macchine ed attrezzature non adeguate e/o idonee. Tali attività vanno pertanto pensate in stretta integrazione da monte a valle della filiera e devono essere gestite da professionisti dotati di opportuna competenza e mezzi economici.

Le capacità di progettazione e programmazione non riguardano solo le figure strettamente connesse alle filiere (agricoltori, trasportatori, etc.) ma anche tutte le realtà successive che hanno una funzione di indirizzo: il teleriscaldamento di un determinato complesso, ad esempio, può risultare economicamente non realizzabile se calato su una realtà preesistente ma assolutamente affrontabile per un nuovo insediamento produttivo; analogamente, la collocazione di una centrale termica di medio-grande dimensione deve tener conto, tra gli altri aspetti strettamente tecnici, delle situazioni infrastrutturali esistenti e/o da realizzare, della vocazionalità del territorio circostante (ad esempio vincoli urbanistici, ambientali, etc.) e quindi avvalersi di tutti gli strumenti al fine di realizzare un intervento dallo sviluppo ordinato e duraturo. In conclusione, parallelamente agli aspetti della componente agricola territoriale circostante alla centrale occorre approfondire anche gli aspetti strutturali delle aziende stesse al fine di acquisire consapevolezza riguardo le reali potenzialità e prevedere le possibili difficoltà.

Come si è visto, la filiera legno-energia è senza dubbio una realtà positiva e capace di grandi vantaggi seppure non sia affatto, specie nella fase iniziale, di semplice realizzazione e gestione. Al fine di rispondere alle nuove esigenze del mercato e del quadro normativo in continua evoluzione, coordinando il settore primario con azioni che portino a ricadute positive sulla filiera ed in particolare sui produttori di biomasse, si sono sviluppate realtà associazionistiche motivate ad unire le proprie forze per promuovere lo sviluppo del settore e condividere un percorso di crescita professionale del comparto produttivo. Tra queste troviamo il Gruppo Produttori Professionali Biomasse di AIEL, tra i più cospicui e propositivi del Paese, che organizza eventi ed incontri volti all’informazione e alla formazione, effettua analisi di mercato e approfondimenti sulle svariate tematiche legate alla filiera legno-energia, promuovendo inoltre criteri etici e di trasparenza a garanzia e tutela degli associati nonché dei consumatori, estendendo tale tipologia di servizio anche ai produttori di biocombustibile (trasformatori), generatori arrivando infine alla garanzia sulla qualità del prodotto finale mediante specifiche certificazioni.

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