ARTICOLO 2/2020
EMISSIONI BIOMASSE SOLIDE: TURNOVER TECNOLOGICO E INCENTIVI CORRELATI
Il problema delle polveri sottili (PM10, PM2,5, PM1) è un aspetto di primaria importanza in tema di qualità dell’aria, soprattutto in contesti particolarmente “complessi” come quello della Pianura Padana la cui caratteristica geografica è quella di essere una sorta di bacino, seppure molto ampio, chiuso su tre lati da catene montuose nel quale, pertanto, scarseggia la circolazione d’aria e dunque il ricambio della stessa.
Non è un caso, infatti, che sia proprio quest’area del Paese quella maggiormente interessata da significative concentrazioni di inquinamento atmosferico rappresentato dalle suddette polveri e dalla presenza di altre sostanze quali monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), ossidi di zolfo (SOx), benzo(a)pirene; è chiaro che il problema dell’inquinamento atmosferico sussiste in tutta Italia (e nel mondo), tuttavia è nelle regioni più colpite (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna in primis) che si sono concentrati studi ed analisi riguardo l’origine ed il livello di incidenza dei suddetti inquinanti.
Il particolato, identificato con la sigla PM (particulate matter), nella chimica ambientale, indica l'insieme delle sostanze sospese in aria sotto forma di aerosol atmosferico che hanno dimensioni che variano da pochi nm a 100 µm; il particolato è l'inquinante oggi più frequente nelle aree urbane, ed è composto di particelle solide o liquide disperse nell'at02mosfera aventi un diametro che va da pochi nanometri fino ai 500 µm e oltre. La pericolosità delle polveri sottili è direttamente proporzionale alla dimensione: più piccole sono le particelle e più in profondità potranno permeare il nostro apparato respiratorio. In Italia, stando a una ricerca del progetto VIIAS (Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute) del Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute, si registrano circa 30.000 decessi l’anno causati dall’impatto del particolato fine sulla salute, pari al 7% di tutti i decessi; se le polveri sottili, particelle microscopiche dal diametro di 7 µm possono raggiungere la cavità orale, nasale e la laringe, particelle dal diametro di 1,1 µm possono raggiungere e danneggiare addirittura gli alveoli polmonari.
Non molto tempo fa è stato argomento trattato da molte testate giornalistiche il fatto che la combustione delle biomasse in ambito residenziale sia la causa del 90% della concentrazione di polveri sottili e sottilissime nell’aria, con la conseguente condanna delle limitazioni del traffico veicolare, misura definita insufficiente, se non addirittura ingiustificata, e di un allarmismo riguardo il riscaldamento residenziale con combustibili legnosi. L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha confermato che il 64% delle PM2,5 derivano dal settore residenziale; i dati raccolti dal progetto PrepAir, il Piano aria integrato regionale che studia l’intero bacino padano, confermano che le biomasse sono la prima sorgente di emissione del PM 10 contribuendo per il 45%. Un’analisi effettuata dal CTI (Comitato Termotecnico Italiano) sui recenti dati diffusi dalle ARPA locali sulle fonti che originano tale problema, ha evidenziato che, tra queste, le biomasse, specie quelle utilizzate nei piccoli dispositivi di combustione, sembrano avere un ruolo più che significativo, al pari di altri “contribuenti storici” come il traffico veicolare. La biomassa produce polveri sottili fondamentalmente perché le caratteristiche fisiche di un ciocco di legna, di una scaglia di cippato o di un singolo pellet sono tali da renderne la combustione più difficoltosa rispetto a quella degli altri combustibili “tradizionali” (liquidi come il gasolio o gassosi come il gas naturale) con cui sono spesso confrontati. In linea molto generale e semplificando il complesso processo di formazione del particolato sottile, una combustione difficoltosa determina la presenza di un elevato numero di particelle carboniose incombuste a cui si aggiungono anche tutte le componenti volatili che si liberano durante le varie fasi di combustione e che, condensando attorno a micro particelle solide, accrescono ulteriormente la massa delle polveri sottili.
Ulteriori approfondimenti effettuati, tra gli altri da Legambiente e dall’Ente di tutela e risanamento di acqua, aria e agenti fisici della Regione Emilia Romagna, evidenziano che la realtà dei fatti è molto più articolata e quello che appare come un “allarme” richiede un chiarimento: le polveri sottili sono infatti un problema, ma tutto dipende da quali sono e da come vengono prodotte. Esse sono, infatti, un fenomeno complesso e non riconducibile ad un’unica fonte. È certo che le PM vengano prodotte dalle biomasse, tuttavia sono tutt’altro che trascurabili le produzioni dovute al traffico, all’industria e all’agricoltura.
Emissioni inquinanti delle biomasse e turnover tecnologico
Un’altra distinzione fondamentale è la suddivisione di tali inquinanti in due categorie: primarie e secondarie; primarie (o dirette) sono quelle che si trovano nei fumi dei camini, secondarie sono quelle che si formano a seguito di una reazione chimica (e che contribuiscono nettamente di più all’inquinamento). Gli approfondimenti sulla questione, analizzando i dati dell’intero bacino padano, hanno riscontrato che il 70% delle polveri fini che finiscono in atmosfera in realtà hanno origine secondaria, pertanto le percentuali dichiarate da molte fonti, come detto sopra, vanno bilanciate diversamente: le polveri dirette sono prodotte dalla combustione interna dei motori a scoppio e dalle caldaie per il riscaldamento; il traffico veicolare, in particolare i motori diesel, contribuiscono al 45%, il settore commerciale e residenziale ne produce il 40% (ed è all’interno di questa percentuale che vanno collocati legna e pellet). L’allarmista 90% attribuito alle biomasse, quindi, è in realtà circa un 40%, per lo più concentrato nel periodo invernale; altri produttori di polveri dirette sono l’industria con il 12% per cento e l’agricoltura con il 3%. Tra le polveri secondarie, il 70% del particolato dipende da sostanze che fanno da precursori e a partire dalle quali poi si forma: sono gli ossidi di azoto e gli ossidi di zolfo emessi dai gas di scarico delle automobili, l’ammoniaca usata in agricoltura soprattutto nello spandimento dei liquami prodotti dai grandi allevamenti, i composti organici volatili prodotti dai solventi.
In Italia, le biomasse legnose rappresentano la seconda fonte di riscaldamento con il 21% rispetto al totale degli impianti nonché la prima fonte di energia rinnovabile con oltre il 30% del totale; se da un lato è vero ed assodato che tali combustibili siano effettivamente degli inquinanti a livello di PM è altrettanto vero che i combustibili tradizionali, seppur non producendo polveri sottili nella combustione, sono responsabili dell’immissione in atmosfera di gran parte dei cosiddetti gas serra. Il corretto punto di vista con il quale inquadrare la situazione è, tuttavia, un altro: ad inquinare non sono le biomasse legnose ma l’uso ancora troppo diffuso di apparecchi vecchi e inquinanti; uno studio riportato da AIEL, Associazione Italiana Energie Agroforestali, sottolinea che nel territorio nazionale siano quasi il 60% gli apparecchi a legna o pellet con oltre cinque anni e il 18% quelli con più di dieci anni: tale arco di tempo rappresenta un periodo nel quale la tecnologia di generatori a biomasse legnose ha fatto molti passi avanti, investendo in ricerca e sviluppo di apparecchi all’avanguardia, capaci di rendimenti maggiori ed emissioni minori (capaci di una percentuale di abbattimento fino all’80%). A dimostrazione di ciò, ad esempio, è opportuno considerare il fatto che quando per l’emergenza smog vengano posti dei limiti agli impianti di riscaldamento, questi non riguardino mai quelli di nuova generazione; inoltre, i dati ARPA delle regioni Veneto e Lombardia hanno evidenziato come la percentuale di polveri sottili generate dal riscaldamento domestico, a parità del numero di apparecchi, sia calata rispettivamente del 20% negli ultimi 7 anni e del 30% negli ultimi 5 grazie al turnover tecnologico. Tale concetto è senza dubbio molto familiare a tutti, così come si sostituisce un’auto Euro 0 con un’auto Euro 6, anche la rottamazione dei generatori più datati in favore dell’acquisto di quelli di nuova generazione è fondamentale per compiere un vero passo avanti verso l’abbassamento delle immissioni di particolato nocivo in atmosfera.
Le azioni concrete nelle quali le associazioni del settore, tra le quali la già nominata AIEL, l’ANFUS (Associazione Nazionale Fumisti e Spazzacamini) e ASSOCOSMA (Associazione Nazionale Costruttori Stufe), si stanno impegnando possono essere riassunte in cinque punti:
- Accelerare il processo di rottamazione delle vecchie stufe e la loro sostituzione con apparecchi e impianti a legna, cippato e pellet classificati con le migliori performance;
- Promuovere l’uso di combustibili legnosi certificati e di qualità;
- Garantire una periodica manutenzione straordinaria dei generatori e canne fumarie da parte di operatori professionali;
- Assicurare un’installazione a regola dell’arte da parte di imprese qualificate;
- Promuovere e diffondere tra i cittadini le buone pratiche nell’utilizzo degli apparecchi e caldaie a biomasse e nella loro manutenzione ordinaria.
Certificazioni per generatori e combustibili
Alla luce di quanto già evidenziato e tenendo a mente i fondamentali obiettivi sopracitati, sono nate le certificazioni per generatori e combustibili:
- Ariapulita: classificazione dei generatori con potenza nominale < 35 kW, nata dal recepimento del DM 186/2017 “Regolamento recante la disciplina dei requisiti, delle procedure e delle competenze per il rilascio di una certificazione dei generatori di calore alimentati a biomasse combustibili solide” il quale stabilisce i requisiti, le procedure e le competenze per il rilascio di una certificazione ambientale dei generatori di calore alimentati con legna da ardere, carbone di legna e biomasse combustibili, come individuati nel D.Lgs. 152/2006 ed inoltre individua, le prestazioni emissive di riferimento per le diverse classi di qualità, i relativi metodi di prova e le verifiche da eseguire ai fini del rilascio della certificazione ambientale, nonché appositi adempimenti relativi alle indicazioni da fornire circa le corrette modalità di installazione e gestione dei generatori di calore che hanno ottenuto la certificazione ambientale; il riconoscimento di AIEL come Ente certificatore è sancito dal Protocollo d’intesa tra l’Associazione e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ad ognuno dei prodotti certificati viene attribuita una classe di qualità identificata mediante un numero crescente di “stelle”, variabile da 2 a 5: ad un maggiore numero di stelle corrisponde una maggiore qualità, riferita ai requisiti minimi di legge (Allegato I del succitato Decreto Ministeriale).
La classe di qualità è coerente ai livelli prestazionali espressi in termini di:
- Emissioni di particolato primario (PP);
- Emissioni di composti organici totali (OGC/COT);
- Emissioni di ossido di azoto (NOx);
- Emissioni di monossido di carbonio (CO);
- Rendimento (η);
- La certificazione internazionale ENplus la quale, grazie a un sistema di controlli trasparente e rigoroso lungo tutta la filiera, garantisce al consumatore un prodotto sostenibile e di alta qualità, certificando la conformità del pellet alle classi di qualità più elevate: i requisiti qualitativi previsti sono persino più restrittivi rispetto alle norme tecniche di riferimento. Il pellet certificato garantisce di ridurre le emissioni rispetto al combustibile non certificato (fino a 2 volte nelle stufe e fino a 4 volte nelle caldaie) oltre ad un processo di combustione più efficiente e quindi anche importanti risparmi economici e maggior durata degli apparecchi.
- La certificazione Biomass Plus, avente l’obiettivo di rendere per la prima volta operativo in Italia uno standard di qualità per la legna da ardere, il cippato e per le briquette.
Basata sulla norma ISO 17225-1 la certificazione si fonda sui principi di:
- Tracciabilità e legalità della biomassa legnosa;
- Sostenibilità ambientale del prodotto;
- Rispetto e mantenimento dei parametri di qualità.
Lo schema di certificazione, oltre alle classi di qualità definite dalle norme (A1, A2 e B), può prevedere, per alcuni prodotti, una classe “plus” (A1+), con limiti più restrittivi rispetto a quelli della norma, volti a identificare prodotti di straordinaria qualità (ad esempio cippato per gassificatori, cippatino, legna da ardere molto secca). Gli elementi qualitativi verificati sono:
- Qualità di prodotto;
- Qualità dell’impianto;
- Qualità di processo.
Non mancano, infine, incentivi economici per far sì che si acceleri il processo di turnover tecnologico:
- l’Ecobonus, gestito dall’Agenzia delle Entrate, prevede per l’installazione di generatori a biomassa una detrazione dall'Irpef o dall'Ires pari al 50% della spesa effettuata;
- il Conto Termico, fondo statale gestito dal G.S.E. che prevede, nel rispetto di specifici requisiti, un rimborso fino al 65% della spesa (fino ad un massimo di 10.000,00 €) mediante versamento diretto sul conto della quota incentivabile.
Come si può evincere, in conclusione, esistono moltissimi strumenti per la riduzione dell’inquinamento ambientale dovuto alla combustione delle biomasse legnose a scopo di riscaldamento e ricoprono tutti gli ambiti: con la partecipazione degli enti coinvolti, dei produttori, delle istituzioni e mediante la sensibilizzazione dei consumatori è senz’altro possibile un significativo progresso volto al beneficio di tutti.